Cultura

I 90 anni di Milan Kundera

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Milan Kundera

In verità non fu affatto uno scherzo. Né un pesce quel 1 aprile del 1927, che diede i natali a uno dei grandi della letteratura mondiale, quel Milan Kundera che oggi compie 90 anni meglio conosciuto per quel suo capolavoro, “L’insostenibile leggerezza dell’essere”, pubblicato in Italia da Adelphi nel 1984. Un titolo enigmatico, ma al tempo stesso riuscitissimo, che probabilmente decreto anche il successo stesso del libro. Nella sua diffusione e conoscenza, con decine e decine di adattamenti e imitazioni sulla stessa falsariga (dai titoli dei giornali a quelli delle riviste e dei settimanali).

Novant’anni sono una bella età, ma dov’è finito lo scrittore ceco? Dove vive o dove si nasconde? Personalità e personaggio per lo più schivo è scomparso dai radar da parecchi anni. La sua ultima intervista televisiva risale all’84 ed in forma scritta all’86. Prima dell’”Insostenibile leggerezza” aveva pubblicato quattro libri, il primo (“Lo scherzo”) nel 1967, e successivamente a quello altri cinque, l’ultimo nel 2013 (“La Festa dell’insignificanza, tanto per non dare nell’occhio. Molti anche i saggi, le raccolte di racconti e di poesie, drammaturgie, scritti vari e adattamenti per il cinema e la tv. Un carnet ricco di fascino, premi, riconoscimenti a cui manca forse quello più ambito pr uno scrittore: il Nobel per la letteratura che non gli è mai stato riconosciuto.

Kundera vive a Parigi, come ci racconta La Stampa, dove divide le sue giornate “con la moglie Vera, nel Quartiere Latino, e continua a pubblicare libri, ma solo in francese”. Di sicuro riservato, schivo, tuttavia non si nasconde affatto, tanto che può capitare persino di incontrarlo a passeggio per i centro di Parigi “a braccetto con Vera, l’inseparabile moglie”, intorno alla rue du Cherche-Midi, dove vivono, nel sesto arrondissement. Insieme sono anche fuggiti dall’allora comunista Cecoslovacchia e dalla sua capitale, Praga”, nel 1975, sette anni dopo la “primavera di Dubcek”, per approdare subito in Francia, a Parigi, con la conseguenza che il governo del Paese d’origine lo privò della nazionalità nel 1978.

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Ma la Francia, Paese accogliente, gli diede tre anni dopo quella francese, grazie a un gesto magnanime dell’allora Presidente Francoise Mitterrand, non appena si insediò all’Eliseo. Kundera per riconoscenza ha imparato la lingua in modo esemplare cosicché “dal 1993 scrive addirittura i suoi libri” nella lingua del Paese che l’ha accolto e integrato. Mentre Praga “mise al bando in suoi libri nel 1970” e venne allontanato dalla Scuola di cinema dove insegnava sopravvivendo all’emarginazione e all’esilio “facendo oroscopi sotto pseudonimo in riviste per ragazzi”. “E, visto che sapeva suonare il pianoforte, venne ingaggiato in un’orchestra che si esibiva nelle taverne di una regione mineraria”.

Nato a Brno, il padre Ludvick fu un grande pianista allievo del compositore Janàcek. Osserva La Stampa: “Ebbene, solo nel marzo 2018 nella Repubblica Ceca è uscito per la prima volta un suo libro da quel lontano 1970. Ma Milan e Vera, che vi sono ritornati l’ultima volta 22 anni fa, hanno ricevuto a casa loro nel novembre scorso Andrej Babis, premier ceco, in visita a Parigi”. Il quale  vorrebbe tanto restituirgli la sua vera nazionalità.

La notorietà di Milan Kundera, ricorda Beniamino Placido in un articolo pubblicato da la Repubblica nel 2002, si ebbe in Italia grazie a Roberto D’Agostino, scopritore di tenedenze e stili di vita, successivamente giornalista, blogger e fondatore del sito Dagospia il 22 maggio del 2000, personaggio televisivo. Racconta Placido: “Un giorno si presentò (o riuscì a farsi presentare) a Renzo Arbore con in mano l’ ultimo libro di Milan Kundera (1984) che aveva un titolo piuttosto intrigante: ‘L’insostenibile leggerezza dell’ essere’. Era stato da poco tradotto in italiano, ma non sembrava dovesse ottenere un grande successo. Sempre con quel libro fra le mani confidò a Renzo Arbore che aspirava a recitare con lui, a teatro o nel cinema. O meglio ancora in televisione. Dovunque fosse, perché sentiva il bisogno di mettersi una cornice intorno. Giacché ‘abbiamo tutti bisogno di essere incorniciati. E’ la cornice che fa l’uomo’. ‘Per recitare che cosa?’ chiese Arbore. ‘Ma questo, naturalmente’. ‘Come, tutto questo libro?’. ‘Ma no, solo il titolo. Non ti pare geniale? Non ti pare che basti?’. Così cominciò in “Quelli della notte” il tormentone dell’“Insostenibile leggerezza dell’essere” che incorniciava ogni sera la presenza di D’ Agostino. Il quale non cedette mai alla tentazione di spiegare (o di tentare di spiegare) l’insostenibile enigmaticità di quel titolo.

“Sembra passato un secolo – ha scritto Nanni Delbecchi sabato su Il Fatto – da quando, grazie a Renzo Arbore e Roberto D’Agostino, ‘L’insostenibile leggerezza dell’essere’ di Milan Kundera godé di un lancio mediatico senza precedenti e lo scrittore ceco, sia pure sulla fiducia di Quelli della notte, divenne quasi una pop-star. Sembra passato un secolo, ma in realtà è passato un millennio; ere geologiche in cui si parlava di libri che non fossero quelli di Vespa o di Renzi, di buoni libri e autentici scrittori, in Tv, sui giornali e perfino al caffè”. Oggi Kundera compie novant’anni, “da maestro riconosciuto del romanzo-saggio e del postmoderno”.

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