Cultura

Esce ‘Il Traduttore’, di Massimiliano Avesani (il narcotrafficante di cui parlò Saviano)

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Un giovane traduttore è incaricato di lavorare sulla biografia di un noto trafficante colombiano e viene inghiottito da un vortice di violenze e rivelazioni: la trama del thriller è accattivante, ma la vera particolarità è che il libro è stato scritto dietro alle sbarre del penitenziario di Nuchis-Tempio, in Sardegna, da un autore che il traffico internazionale di droga lo ha vissuto direttamente. Massimiliano Avesani, ribattezzato il Principe da Roberto Saviano che ne raccontò i legami con le ‘ndrine calabresi, sta scontando una condanna a 15 anni.

Cinquentasette anni, romano, arrestato nel 2013 in Spagna dove viveva con moglie e figli, ha scoperto in carcere una vena letteraria grazie al sostegno di Massimo Dessena, il ‘libraio’ e volontario sardo che con la sua edizioni Maxottantotto ora ha pubblicato “Il traduttore” e si è sempre detto un sostenitore della scrittura e della letteratura come leva di riscatto sociale. Il libro è stato rivisto da Avesani con il prezioso aiuto di una ‘editor’, Sara Salerno, che gli ha fatto regolarmente visita in carcere.

“I boss della n’drangheta sono ancora più furiosi: ritengono il siciliano corresponsabile del pasticcio che minaccia di mandare all’aria l’enorme operazione e dal quale in più hanno dovuto tirar fuori a suon di milioni di dollari. A questo punto i siciliani vengono estromessi. Fuori Cosa Nostra. A prendere la situazione in mano ora è il solo Pannunzi, che decide che sarà la Spagna ad accogliere il carico. Non è un problema: anche lì ha i suoi agganci e li ha Massimiliano Avesani, chiamato il Principe. Il Principe è un ricco romano legato a Pannunzi e alle ‘ndrine calabresi. Da diversi anni è rispettato proprietario di un cantiere navale a Malaga. Pannunzi ha capito che le polizie di mezzo mondo cercano di seguire il percorso. Ma stavolta i calabresi e i loro complici non commettono errori, usano un linguaggio altamente criptico e cambiano di frequente i numeri di telefono. Gli inquirenti perdono ogni traccia. Il 15 ottobre 2002 la nave arriva in Spagna e il viaggio travagliato della coca termina nelle mani sicure di Avesani”.

Roberto Saviano, dopo l’arresto di Paolo Avesani nel 2013

“Il traduttore”, ambientato tra la Florida e “quell’infernale paradiso terrestre chiamato Colombia”, ha per protagonista il giovane Alfredo. A ingaggiarlo è Isabel che lo accompagna in Florida dove Eusebio e Rosa si prendono cura di lui affinché possa tradurre la biografia del narcotrafficante Efrain. Il giovane, però, finirà per diventare l’involontario protagonista di vicende oscure e sanguinose.

Il racconto alterna momenti di lirismo a esplosioni di violenza e si muove su più binari paralleli, anche con salti temporali. Di particolare interesse è il racconto di prima mano del ciclo della cocaina dai campi fino alle strade dello spaccio, fra intrighi e inaudite crudeltà. “Il Traduttore” ha vinto la XI edizione del premio letterario Carlo Castelli per la solidarietà. 

“Non è stato facile – ha spiegato Sara M. Salerno all’Unione Sarda – comunque sono riuscita nel mio intento: portare a termine il lavoro nel migliore dei modi. Sono state fatte moltissime revisioni del romanzo”. 

Ha detto ancora la editor al quotidiano sardo: “Sapere di avere a fianco un uomo che sta pagando per i suoi errori e che attraverso la scrittura ha trovato un modo per esprimere tanto di sé, senza mai permettermi di giudicare le sue scelte passate. È stato un percorso affascinante che sicuramente mi ha formato e segnato da un punto di vista umano e professionale. E oggi, tenendo il libro tra le mani, rimango stupita perché mi rendo conto che dentro questo romanzo c’è veramente tutta una storia da raccontare. Un giorno l’autore mi ha chiesto di aiutarlo a far sentire al meglio la sua voce ‘nel mondo dei vivi’ ed è anche per questo che ci ho messo davvero l’anima. Naturalmente tutto ciò è stato possibile – conclude Sara Salerno – grazie all’editore Massimo Dessena, che ha riposto in me la sua fiducia, e alle autorità competenti della struttura carceraria che ci hanno consentito di lavorare in una situazione di normalità”.

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