Stile di vita

Costantino della Gherardesca invita tutti al Gay Pride milanese: “Diamo un messaggio forte contro l’omofobia” 

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“Vorrei che il 29 giugno, alla parata del Milano Pride partecipassero in tanti, omosessuali e eterosessuali, perché quest’anno è più importante che mai mandare un messaggio forte contro l’omofobia ma anche contro la xenofobia. La parata rappresenta un simbolo di apertura verso il resto del mondo”. Costantino della Gherardesca, che non si è mai perso un Pride, fa un grande tifo anche se stavolta, per questioni di lavoro, alla parata non potrà esserci: sta preparando la seconda stagione del quiz itinerante di Raidue “Apri e vinci”, il nuovo format per Instagram tv “Un marito per Costa” e sta anche dando gli ultimi ritocchi al suo nuovo libro “La religione del lusso” in uscita in autunno per Rizzoli Lizard. 

Il suo apporto in prima persona alla settimana milanese del Gay Pride, chiarisce all’AGI, è rappresentato dalla replica speciale il 27 giugno, al PAC, il Padiglione d’arte contemporanea milanese, di “The boys in the band (festa per il compleanno del caro amico Harold)” pietra miliare del teatro Lgbt, la prima a tematica gay per il grande pubblico che, scritta dal drammaturgo americano Marc Crowley ha debuttato a New York nel ’68, rimanendo in scena per 1001 repliche.

La versione diretta da Giorgio Bozzo che il conduttore-scrittore (“ho cominciato la mia carriera scrivendo di musica ma non riuscivo neanche a pagarmi l’affitto, per questo mi sono dato alla tv”, scherza ma non troppo)  ha adattato e tradotto, dopo il debutto milanese della tourné a metà giugno, torna a grande richiesta del PAC, che lo ha voluto nell’ambito delle sue iniziative per la Pride week, insieme alla mostra di Anna Maria Maiolino “O amor se faz revolucionàrio”. 

“E un’artista italo-brasiliana che combatte per i diritti civili, contro la censura e la la dittatura. Evidentemente hanno riscontrato una sintonia tra le sue istanze e quelle del movimento Lgbt”, spiega il conduttore-scrittore.   

Sono passati 51 anni dal debutto della pièce e 50 dai moti di Stonewall che segnarono la nascita del movimento di liberazione gay, “The boys in the band” è ancora così attuale?

“Molto attuale, tant’è che  ha ispirato anche un film Netflix, che uscirà all’ inizio del 2020. E’ un testo molto forte e anche cattivo. L’ho scritto con la mia cifra divertita e feroce, gli amici omosessuali protagonisti della commedia sono pieni di nevrosi e, in lotta per farsi accettare, si massacrano. E’ quanto mai contemporaneo, soprattutto nel periodo del Pride, perché la battaglia per i diritti civili è ancora lunga”. 

Lei non ha mai avuto problemi a dichiarare la sua omosessualità, anche il suo coming out è stato così naturale?

 “Non ho avuto grandi problemi perché negli anni clou dell’adolescenza ho avuto la fortuna di vivere in Inghilterra. Era anche il periodo del grande terrore per l’Aids, ma io sono stato molto aiutato dal mio gruppo di amici, e poi avevo già un carattere molto forte, allora. Però oggi purtroppo in Italia ci sono ancora tanti ragazzi fragili che vivono con grande sofferenza il loro scoprirsi gay o transgender. Non dovrebbe essere così, non dovrebbe essercene motivo oggi”.  

Sente spifferi di omofobia?

 “Gli italiani non sono tendenzialmente omofobi, ma oggi bisogna stare attenti alle derive, alle esternazioni violente amplificate dalla tv: i media non dovrebbero essere compiacenti, non dovrebbero porgere il megafono a personaggi pubblici omofobi. Per questo oggi è importante partecipare al Gay pride, con le piume come a Rio de Janeiro o in giacca e cravatta”. 

Le piume non convincono il sottosegretario alle Pari Opportunità Vincenzo Spadafora che ha appena ribadito l’utilità del Pride criticandone però gli eccessi.  

“Una volta la pensavo come lui, ma in questo momento storico sostengo invece che l’importante è esserci, a prescindere dal dress code. Se potessi andarci mi presenterei in maglietta, e con la protezione solare, visti i 40 gradi di una Milano molto inquinata”.  

Lei appartiene a una famiglia aristocratica fiorentina, è nato a Roma ma vive da tempo a Milano. Che ne pensa dell’assegnazione delle Olimpiadi invernali del 2026 alla sua città d’adozione, in tandem con Cortina?  

“Sono molto felice. Le Olimpiadi sono un’occasione per far girare i soldi, e quando i soldi circolano va molto bene anche alla cultura”.  

Per la prossima stagione tv c’è molta attesa sulla sua conferma (o sulla sua sostituzione) a “Pechino Express” su Raidue. Si era parlato di un cambio della guardia, a favore di Simona Ventura, che ha già preso il suo posto a The Voice… 

Per saperne qualcosa bisogna aspettare la presentazione dei palinsesti Rai, il 9 luglio. Però non ho sofferto per “The Voice”, l’ho condotto per una sola edizione, non lo considero un programma mio come “Pechino Express”, e l’ho visto anche poco perché lavoravo. Comunque mi è piaciuto il cast. Intanto sono felice però di iniziare a girare in questa settimana, al Sud, la nuova edizione di “Apri e vinci”, il quiz itinerante nelle case degli italiani, in onda nel pomeriggio di Raidue nella prossima stagione: è stata un’idea di Simona Ercolani che lo produce con la sua “Stand by me”, casa di produzione tutta italiana. Nella passata stagione, all’esordio ci saremmo accontentati anche di tre punti in meno di share, invece è andato benissimo”. 

Sta lavorando, per la prima volta, anche a un suo format su Instagram tv…

Si chiama  “Un marito per Costa” ed è già dotato di mail per gli aspiranti coniugi (unmaritopercosta@gmail.com) e della cosiddetta “Call to action” con appelli per trovarmi un partner a cura di Barbara d’Urso, Victoria Cabello, Monica Cirinnà e pure Elsa Fornero. Il format è una mia idea, lo spunto me l’ha dato una ricerca di mercato che anni fa mise in luce che il pubblico mi avrebbe voluto vedere in un dating. Ci sarà una giuria composta da tre miei amici, quindi feroci come me,  che non hanno mai lavorato in tv ma sono molto televisivi. Sono due donne e un uomo e  proporranno, litigando tra loro e difendendo le loro scelte come quelli di X Factor neanche si sognano, i loro candidati che ritengono ideali per me. Io li incontrerò senza mai averli visti prima. Sarà su Instagram nel prossimo autunno, in tre o sei puntate. 

Non le bastava la tv?

“Ho voglia di sperimentare. In tv ormai sono collaudato, mi bastano due riunioni per definire un programma, qui è tutto nuovo, me ne sono servite quaranta per capirci qualcosa”. 

Ma il taglio del programma è solo una trovata social-televisiva o cerca davvero marito? 

“Sono single da un anno e mezzo, un compagno mi manca e sento anche la pressione sociale. Oggi i gay sono un po’ come le donne degli anni Cinquanta, se non si sposano  vengono guardati male. Condivido le battaglie per i diritti civili,  ma mi sento distante dal matrimonio: un compagno  può essere un di più della mia vita, ma non credo che né gay né etero possano realizzarsi sposandosi, attraverso qualcun altro insomma”. 

Ora che ha perso 27 chili sarà pieno di aspiranti fidanzati.

Purtroppo ho ripreso dieci chili da quando ho smesso di fumare. Ma forse, sentimentalmente parlando, è meglio così. Il periodo della mia magrezza è stato quello in cui ho avuto meno successo con gli uomini. Forse percepivano la mia infelicità per l’astinenza dal cibo. Adesso però sono infelice per quella dal fumo. Ho deciso di dire basta al mio pacchetto e mezzo di sigarette giornaliero perché la mia ipocondria e la relativa paura dei danni da me l’hanno imposto. Ma soffro: organizzavo sempre le mie vacanze in posti con alberghi e ristoranti per fumatori. Ho  già una vacanza prepagata in Egitto e mi toccherà soffrire vedendo gli altri fumare”. 

Tornando alla tv, aspettando di sapere cosa ne sarà di lei a  Pechino Express, qual è il suo grande sogno proibito?

 “La conduzione del Festival di Sanremo in coppia con Barbara d’Urso, la musica passerebbe senz’altro in secondo piano. Mi sono appassionato da morire all’affaire Mark Caltagirone. Il “Pratiful” allestito dalla d’Urso è il miglior programma di intrattenimento dell’anno. Pura arte contemporanea”.

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