Cronaca

Burioni spiega perché non c’è pericolo coronavirus nei ristoranti cinesi

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Agf

Roberto Burioni

“I cinesi in Italia sono esposti come tutti gli altri al pericolo di contrarre il virus, che non bada a razza e colore della pelle e che comunque da noi non ha generato alcun focolaio di infezione”. Lo assicura in un’intervista a La Stampa il virologo Roberto Burioni che aggiunge che “per ora abbiano solo due casi prontamente isolati” e che per poter parlare di un focolaio “dovremmo avere casi di “infezione secondaria”, ossia di persone che hanno contratto il virus senza provenire dalle zone dove in Cina è propagata l’epidemia”. Ma così non è.

Tuttavia Burioni dice anche che “è importante identificare al più presto chi ha avuto contatti stretti con la persona contaminata e tenerla in isolamento e sotto osservazione fino all’esito negativo del test”, che è poi anche l’unico modo per impedire che l’infezione si propaghi. Anche se secondo il virologo “questo coronavirus è piuttosto contagioso, pur avendo un tasso di mortalità del 3%, più basso della Sars che era del 10%”. In ogni caso, assicura, “è sbagliato giudicare solo da questo la sua pericolosità” perciò “non bisogna fare inutile allarmismo ma nemmeno abbassare la guardia”.

Il contagio ad ogni modo puà avvenire anche solo toccando una persona infetta, “perché dopo aver starnutito o tossito sul suo corpo possono depositarsi goccioline minuscole di saliva e se noi tocchiamo quella persona e poi portiamo le mani alla bocca ci esponiamo a rischio di contagio”. Per questo Burioni consiglia di “lavare spesso e bene le mani”. Dunque la trasmissione “avviene sempre per via respiratoria e mai attraverso il cibo, anche se crudo” dice il virologo che invita tutti ad andare “serenamente al ristorante cinese” e a vaccinarsi anche contro l’influenza “non perché immunizzi anche dal coronavirus ma per il fatto che proteggendoci dall’influenza, che dà sintomi simili, il vaccino consente di non generare confusione”.

Le mascherine sono utili? All’interrogativo Burioni risponde che “non forniscono alcuna protezione dal coronavirus” ma servono semmai “a non far diffondere il virus da parte di chi lo ha già contratto”. Quanto al vaccino, il virologo dice che “non è detto che lo si trovi” e comunque “ci vuole tempo per svilupparlo e commercializzarlo”. La migliore arma per fermare l’epidemia resta perciò “isolare chi ha contratto il virus”. Cioè quel che si sta cercando di fare un po’ ovunque.

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